Patologia muscolo-tendinea!? va rivisitata l’Anatomia. Importanza delle catene miofasciali
Una delle patologie più complesse da affrontare sono le tendinopatie. La maggior parte delle volte non si riesce ad inquadrare una causa eziopatogenetica, alcune volte si riesce ad individuare solo la causa scatenante. La patologia con conseguente degenerazione delle strutture osteomuscolari segue un paradigma standardizzato.
Una struttura anatomica sana è molto importante per un corretto funzionamento, come un buon funzionamento è essenziale per mantenere una struttura sana (fig. 1). A volte lo starter della cascata che porterà alla degenerazione è l’aspetto anatomico deviato- dismorfico congenito. In questi casi, una minoranza, la situazione è abbastanza complessa e spesso solo la chirurgia riuscirà a dare dei benefici duraturi. Nella maggior parte dei casi l’interruzione del circolo virtuoso viene interrotto da un non corretto funzionamento che definiamo disfunzione.
La disfunzione inizialmente non è associata a dolore ma a dei sintomi subdoli, quali irrigidimento delle strutture con perdite di flessibilità o ridotta circolazione emato-linfatica, che spesso non vengono percepiti o se percepiti vengono trascurati. Se la disfunzione persistere eccessivamente o ancor più se si manifesta un peggioramento che può mettere in crisi la struttura, si manifesta “l’infiammazione acuta” (fig. 2) che non è altro che un ingegnoso sistema del corpo per autoguarire. Il dolore associato all’infiammazione acuta è un modo per ridurre il sovraccarico che alla lunga potrebbe rilevarsi irreparabile.
A questo punto diventa importante riconoscere la disfunzione per permettere una restituzio ad integrum della struttura (fig. 3). Ignorare, fraintendere o peggio ancora occultare con terapie analgesiche porta al perpretarsi della disfunzione che comporta un’alterazione strutturale.
L’alterata struttura non potra fare altro che incrementare la disfunzione la quale accentuerà la degenerazione della struttura alimentando un circolo vizioso con inesorabile declino verso il cronicizzarsi della patologia (fig. 4).
Nelle fasi del processo che porta alla cronicizzazione, l’ottimale sarebbe riconoscere il passaggio dalla funzione alla disfunzione per ristabilire il primo possibile un corretto procedimento funzionale. Purtroppo la disfunzione lancia dei segnali di SOS molto flebili che solo una mano sensibile riesce a cogliere. Una seconda opportunità viene data dopo i primi sintomi, quando si è innescata la patologia acuta. Nei processi della flogosi acuta sono presenti i procedimenti messi in atto dal corpo per auto guarirsi. La degenerazione della struttura è un paletto di non ritorno. Questo non vuol dire che queste patologie non devono essere trattate. Bisogna solo essere consapevoli che il paziente non potrà mai considerarsi guarito, potrà stare meglio, ma mai più guarito. A dispetto di chi pensa che trovata la “lesione primaria” si possa guarire tutto. Ogni qualvolta ci troviamo di fronte ad una degenerazione della struttura, degenerazione conseguente a qualsiasi causa primaria, diventerà a sua volta una causa primaria di disfunzioni.
Da queste considerazioni sul processo di deterioramento delle strutture del corpo collegato al rapporto a doppio senso di marcia tra Anatomia e Funzione, sorge una domanda spontanea: “ma quanto conosciamo dell’anatomia e quanto della funzione?”
La mia risposta è che per quanto si sia raggiunto un livello di conoscenza del corpo umano elevato, siamo ancora molto distanti da poter affermare che conosciamo tutto. E per dare un esempio di quanto sia limitato il nostro sapere mi rifaccio ad alcuni assiomi dell’Anatomia.
“Il sistema muscolare è l’insieme di organi che permette, attraverso la contrazione muscolare, il movimento del soggetto e lo scorrimento di sostanze organiche interne come sangue e cibo. La contrazione avviene nel momento in cui le fibre di cui è costituito il muscolo, in seguito ad uno stimolo nervoso, scorrono le une sulle altre generando una forza che attraverso il tendine si trasmette alla leva ossea, permettendo così il movimento del corpo o di una sua parte.”(https://it.wikipedia.org/wiki/Sistema_muscolare)
Quindi, il sistema muscolo scheletrico è formato da muscoli che si connettono tramite dei tendine ai segmenti ossei (fig. 5). In questo modo il muscolo determina il movimento delle ossa trasmettendo la forza dell’attivazione in modalità isometrica, concentrica o eccentrica. Ma siamo proprio sicuri di questa definizione che si trovano sulla maggior parte dei testi di Anatomia?
Nel nostro corpo niente è presente per caso, tutto ha o ha avuto una funzione. Se tutti condividiamo questa affermazione come possiamo giustificare alcune consistenti connessioni tra le fibre muscolari e strutture connettivali che non sono i tendini. Ad esempio il muscolo semitendinoso, nelle descrizioni dei sacri testi di anatomia, presenta un’inserzione craniale a livello della tuberosità ischiatica e una caudale a livello della faccia intero mediale della metafisi tibiale. Tutti d’accordo, vero? Bene! Ma quando in veste di chirurgo ortopedico mi trovo a dovere prelevare il tendine del semitendinoso per ricostruire un legamento crociato anteriore del ginocchio e mi trovo un trapianto come quello che ho riportato in figura 6, dove in alto abbiamo la giunzione miotendinea e in basso l’inserzione alla tibia cosa devo pensare?
E’ evidente che il semitendinoso ha due inserzioni a valle, una, la canonica, che si connette alla tibia e l’altra (fascia aponeurotica) che prende connessione sulla fascia crurale che ricopre il gemello mediale (fig. 7). Se dovessi attribuire, dalla immagine del tendine da trapiantare, quale delle due ha una maggiore consistenza, farei molto fatica. Infatti, uno dei rischi che si corre quando si esegue lo “stripper” del tendine del semitendinoso è che se si dovesse recidere la connessione con la tibia e non quella con la fascia (come il caso riportato) il trapianto è da buttar via perché non è utilizzabile.
Possiamo dire che questa particolare inserzione del muscolo semitendinoso sia una peculiarità di questo muscolo? Ebbene no! Abbiamo tanti altri casi di inserzione muscolare sulla fascia oltre che sul tendine principale. Rimanendo sui muscoli della zampa d’oca, il sartorio presenta un’inserzione aponeurotica ampia a ventaglio sulla fascia crurale, dove si possono ben evidenziare dei fasci di fibre longitudinali e altri obliqui (fig. 8).
Questi esempi di collegamenti dei fasci muscolari non all’osso ma alla fascia sono presenti anche nell’arto superiore. Nell’immagine (fig. 9) l’inserzione distale del bicipite omerale alla fascia antibrachiale; in figura 10 l’inserzione aponeurotica del grande pettorale nella fascia brachiale; in figura 11 l’inserzione aponeurotica distale del deltoide nella fascia brachiale e sul setto brachiale laterale.
Da queste evidenze anatomiche ne scaturisce, di conseguenza, una ovvia revisione della funzione, ovvero della biomeccanica. Dalle connessioni degli ischiocrurali con la fascia crurale, ad esempio, è possibile che gli ischiocrurali durante la flessione del tronco e il conseguente ritorno scarichino una parte della loro tensione direttamente sulla fascia plantare attraverso la fascia crurale; se così fosse bisogna considerare le teste metatarsi come l’inserzione più distale degli ischiocrurali.
Un altro esempio potrebbe essere la tensione del bicipite brachiale che attraverso la fascia antibrachiale, fascia di inserzione di una parte delle fibre dei flessori del carpo e delle dita, potrebbe coadiuvare alla flessione del polso e della dita della mano. Da queste considerazione diventa ovvio affrontare le patologie da sovraccarico, che spesso si manifestano con dolore a livello tendineo, inserzionale e non, mediante dei sistemi plurisegmentari, cercando la causa della disfunzionale spesso distante a dove si manifesta il sintomo attraverso le catene miofasciali. L’area algica è spesso il punto critico in termini di debolezza e fragilità non da dove origina in termini disfunzionali.
A livello funzionale dovremmo integrare le conoscenze che abbiamo su come il sistema connettivale si integri con la componente propriamente muscolare contrattile. Partendo dalla stessa struttura che normalmente consideriamo muscolo, Huijing (1992) ha rappresentato con lo schema riportato in figura 12 la componente elastica, quindi connettivale, e la componente contrattile di pertinenza prettamente muscolare. Dalla schematizzazione si intuisce il peso della componente elastica connettivale nel tessuto muscolare. Questo modello andrebbe utilizzato non solo per meglio comprendere le patologie da sovraccarico tendineo ma anche le patologie muscolari, iniziando dalla contrattura fino alla lesione muscolare. Quando parliamo di lesione muscolare siamo proprio sicuri che la lesioni interessi la componente contrattile e non quella connettivale?
Sempre Huijing (1992), utilizzando questo modello preso in prestito dall’elettrotecnica, divide la componente connettivale presente nel muscolo e possiamo dire anche al di fuori dal muscolo, in serie o in parallelo all’elemento contrattile. (fig. 13). Il tendine propriamente detto è una struttura connettivale in serie alla componente contrattile, la fascia aponeurotica che avvolge un muscolo e si continua nel paratenonio deve essere considerata in parallelo. La componente elastica in parallelo svolge soprattutto un ruolo di riutilizzo dell’energia. Quando i due estremi si allontanano questa struttura elastica si allunga accumulando energia che prontamente restituirà nel momento successivo quando ci sarà la necessità di avvicinare i due estremi, coadiuvando alla funzione della componente contrattile. Questo modello di trasformazione di energia cinetica in energia potenziale e di energia potenziale in cinetica, permette durante delle funzione semplici come la deambulazione e la corsa di non gravare eccessivamente dal punto di vista energetico. Se si vuole comprendere per meglio trattare le patologie miotendinee, come espresso precedentemente in questo articolo nella logica circolare dell’anatomia, funzione, disfunzione, degenerazione, bisognerebbe rifarsi a questo modello di utilizzo della componente connettivale. Se prendiamo in considerazione una lacerazione completa del muscolo, sicuramente saranno interessate tutte le componenti sia muscolari che connettivali. Ma nella patologia muscolare meno grave, la componente lesiva interessa prettamente la componente connettivale in parallelo, mentre la componente in serie con la componente contrattile si adoperano per proteggere la struttura in crisi, aumentando la tensione. Quella che identifichiamo con “contrattura muscolare”, quindi, non sarebbe altro il tentativo adottato dal corpo per proteggere i sistemi in parallelo dal sovra tensionamento, iper caricando la componente in serie attraverso l’aumento del tono base della componente contrattile del muscolo. Applicando questo modello potrebbe diventare più comprensibile perché e come applicare l’esercizio di potenziamento muscolare ai fini terapeutici miotendinei, oppure come adeguatamente indirizzare la terapia di allungamento.
Bibliografia
Huijing PA: Mechanical muscle model. In Strength and power in sport. ed Komi PV Oxoford: Blackwell Scientific Publication. 1992 pag 145
Reina N, Abbo O, Gomez-Brouchet A, Chiron P, Moscovici J, Laffosse JM. Anatomy of the bands of the hamstring tendon: how can we improve harvest quality? Knee. 2013 Mar;20(2):90-5. doi: 10.1016/j.knee.2012.06.003.
Stecco C. Functional Atlas of the Human Fascial System. Churchill- Livinstone. Edinburgh 2015