Hip- Spine Syndrome: relazione anca-rachide lombare nel LBP
Il mal di schiena o lombalgia o ancora low back pain (LBP) come definita dagli autori Anglosassoni, è un disturbo comune, se non il più comune, nella popolazione. Una recente revisione sistematica ha riportato rispettivamente la prevalenza lifetime, annuale e la puntuale del 38,9%, del 38,0% e del 18,3% (Hoy et al. 2012); mentre le singole indagini epidemiologiche di sezione trasversale indicano un tasso di prevalenza del 70% -80% (Biering‐Sørensen 1983; Walker et al. 2004).
La prevalenza dei sintomi di LBP presenta un picco tra i 40 e i 69 anni; è più elevata tra le femmine rispetto ai maschi in tutte le fasce d’età ed è più comune nei paesi con economie ad alto reddito (Hoy et al. 2012).
Poiché il LBP è così prominente e perché il problema è associato a notevoli oneri economici e personali, gli interventi terapeutici che forniscono se pur una limitata efficacia sono ancora considerati benefici (Machado et al 2009).
Un approccio terapeutico, sostenuto come un intervento complementare, è il trattamento contemporaneo dell’anca, soprattutto nei pazienti che presentano una sintomatologia sia vertebrale che dell’anca (Offierski MacNab 1983; Fogel e Esses 2003; Ben‐Galim et al. 2012; Devin et al. 2012; Jackson et al. 2012).
Il concetto della sindrome anca-schiena (hip-spine syndrome), introdotto da Offierski e MacNab (1983) più di tre decenni fa, è una condizione spesso citata in letteratura ma ancora in pratica scarsamente applicata.
Questo concetto presuppone che ci siano due distinti disturbi; uno all’anca e uno al rachide lombare e che i 2 problemi funzionano in concerto per causare ulteriori problemi in ciascuna di queste due aree. Si ipotizza che il trattamento di una regione possa migliorare la relazione del dolore e della funzione nella regione non trattata. A sostegno di questa ipotesi, Ben-Galim et al. (2007) hanno dimostrato che la protesizzazione articolare all’anca può migliorare anche i sintomi associati alla condizione vertebrale nei soggetti che presentavano un hip-spine sindrome.
Altri Autori (Burns et al. 2011a; 2011b) hanno raccomandato il trattamento dell’anca nei soggetti con LBP anche se “non presentano” una hip-spine sindrome perché asintomatici a livello all’anca. Gli autori di questi studi hanno raccomandato un approccio di trattamento concomitante sulla base del concetto dell’interdipendenza regionale, che presuppone che regioni anatomiche relativamente disconnesse possano influenzare altre regioni anatomiche, per cause ancora sconosciute (Wainner et al. 2007).
Al momento esistono delle ricerche che sostengono una stretta correlazione anatomica e neuromuscolare tra la colonna lombare e le anche (Murray et al. 2009; Reiman et al. 2009; Scholtes et al. 2009; Roach et al 2015); tuttavia, c’è anche una letteratura che mette in dubbio la relazione causale delle due regioni anatomiche in individui con LBP (Kendall et al. 2010; Kendall et al. 2015; Alricsson et al. 2016). Nelle sperimentazioni cliniche di Kendall e al (2010; 2015) gli Autori hanno valutato, nel lavoro del 2010, nella posizione eretta e nella deambulazione un eventuale caduta del bacino (segno di Trendelemburg) attribuibile ad un deficit degli abduttori d’anca; nel più recente lavoro hanno esaminato l’aggiunta di esercizi di rinforzo dei muscoli dell’anca agli esercizi di stabilizzazione lombare nel trattamento di individui con LBP e non hanno trovato alcun beneficio aggiunto. Purtroppo, non è chiaro esattamente quali esercizi per l’anca sono stati utilizzati nel loro studio e soprattutto se è stata fatta una discriminazione su quale anca o quale muscoli rinforzare. Questo modello di applicazione dell’esercizio terapeutico non incontra la nostra approvazione. In qualsiasi distretto del corpo non si può pensare che somministrando a casaccio del rinforzo muscolare, senza una diagnosi di deficit, si possano ottenere dei risultati. Nel lavoro di Alricsson et al. (2016) gli autori valutando la flessibilità in estensione dell’anca in soggetti lombalgici praticanti lo sci non trovano una correlazione positiva. Anche in questo caso pensare che solo le disfunzioni in estensione dell’anca possano essere alla base della correlazione eziopatogenetica delle lombalgie è altamente riduttivo.
Di opposto avviso sono gli studi di Burns et al (2011b) che hanno valutato un di soggetti che hanno dimostrato un certo vantaggio a breve termine verso il recupero di LBP quando la terapia manuale e l’esercizio terapeutico (ROM) era mirato anche all’anca. Tuttavia, essi avevano criteri di inclusione molto rigidi, inclusa la documentazione che identificava una compromissione dell’anca.
A nostra conoscenza solo un lavoro (Bade et al. 2017) ha utilizzato dei trial randomizzati controllati per valutare il beneficio dell’aggiunta di terapia manuale e di esercizi focalizzati all’anca in individui con una sintomatologia primaria di LBP. Un gruppo di 84 pazienti sono stati randomizzati in 2 gruppi: trattamento pragmatico solo della colonna lombare (LBP) (n = 39) o trattamento pragmatico della colonna lombare e trattamento prescrittivo per le anche bilaterali (LBP + HIP) (n = 45). Il trattamento pragmatico della spina lombare è stato basato su linee guide cliniche pubblicate. Il trattamento prescrittivo delle anche coinvolse l’uso di 3 esercizi di anca che mirano alla muscolatura glutea e 3 tecniche di mobilitazione destinate alla coxo femorale. Al momento delle dimissioni, sono state riportate notevoli differenze nell’Indice Modificato Oswestry Disability, scala di valutazione del dolore numerico, valutazione globale del cambiamento e soddisfazione del paziente a favore del gruppo LBP + HIP. La dimensione degli effetti (effect size) era tra il piccolo e medio.
Come possa l’articolazione dell’anca influenzare il rachide lombare è abbastanza semplice. Spesso pensando all’articolazione coxo-femorale ci si limita a considerarla in catena cinetica aperta, ovvero il movimento del femore rispetto all’osso iliaco. I maggiori carichi che sopporta questa articolazione, sicuramente, sono quando in catena cinetica chiusa, l’iliaco, gravato dal peso del tronco mediante il sacro, si muove sulla testa femorale. Ad esempio durante la deambulazione, la corsa o un salto è la stance phase (fig. 1a) che grava maggiormente sull’anca rispetto alla swing phase (fig. 1b).
Le disfunzioni dell’iliaco, inspiegabilmente, vengono classificate rispetto al sacro. L’unica giustificazione che possiamo dare a questo abnorme modo di esaminare le disfunzioni dell’osso iliaco è che, per comodità, la valutazione del bacino viene effettuata con il paziente in posizione distesa supina o prona. In questa posizione il peso del tronco è nettamente maggiore di quello degli arti, quindi, l’induzione di un qualsiasi movimento dell’iliaco si effettuerà rispetto al sacro; però, non bisogna dimenticare che la maggior parte delle disfunzioni del bacino avvengono in posizione ortostatica, in piedi o seduta.
Nella posizione seduta, in realtà, l’iliaco non trova l’equilibrio sull’anca ma sulla tuberosità ischiatica; nella postura seduta, però, l’equilibrio del bacino e della sacroiliaca sono così instabili (Snijders et al. 2006) che facilmente una rigidità dei sistemi miofasciali dell’anca ne possono condizionare pesantemente la posizione.
La postura seduta su un divano o poltrona con appoggio dei piedi su un puffo o tavolino è un esempio esplicativo. La distensione delle ginocchio mette in tensione gli ischiocruali, muscoli corti per antonomasi, che condizionano la retroversione del bacino; la retroversione del bacino condiziona una flessione del sacro e del rachide lombare.
Un ulteriore problema legato all’articolazione dell’anca è la capacità di compenso, che da un lato è una cosa altamente positiva, dall’altro alquanto negativa. E’ positiva perché le algie d’anca sono rare se confrontate a quelle del rachide lombare e ginocchio; è negativa perché quando l’anca inizia a fare male spesso è troppo tardi per poter instaurare una terapia efficace.
Stiamo riuscendo a fare della prevenzione della patologia degenerativa d’anca da quando di routine, nei soggetti lombalgici valutiamo questa articolazione. I principali campanelli di allarme, infatti, delle disfunzioni d’anca sono le LBP e le gonalgie.
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