Mal di schiena: corretto approccio mediante l’esercizio terapeutico
Il mal di schiena, che colpisce circa il 70-80% della popolazione, si combatte col movimento più che con il riposo. Queste sono le conclusioni di una serie di ricerche effettuate sui lombalgici e sui sofferenti di sciatica (Verbunt et al. 2008; Hagen et al. 2010). Il riposo assoluto, soprattutto se per lunghi periodi, è assolutamente sconsigliato perché, riducendo le richieste funzionali alla propria colonna, si finisce per ridurne il tono-trofismo. Invece una quotidiana attività fisica può prevenire il mal di schiena negli adulti (Murphy et al. 2014; Notarnicola et al 2014) e nei bambini (Hill et al. 2014).
In alcuni momenti, soprattutto quando ci sono degli attacchi acuti, il riposo a letto può servire per sedare i sintomi, ma come i farmaci antinfiammatori che tolgono il dolore ha degli effetti collaterali.
Il movimento, invece, stimola la circolazione sanguigna che apporta ossigeno e favorisce lo smaltimento delle sostanze “algogene” che provocano dolore.
La posizione seduta, contrariamente a quanto si possa pensare, non è così naturale, o per lo meno non è naturale per il genere umano restare seduto tante ore al giorno: in questa posizione la colonna viene affaticata perché non viene rispettata la sua naturale curvatura.
Chi sta seduto tanto tempo, per tale motivo, dovrebbe muoversi il più possibile. Inoltre bisogna cercare di privilegiare le posture corrette e di cambiare spesso posizione.
La persona che ha sempre mal di schiena, che collega questo male al movimento, o che ha ricevuto l’erroneo messaggio di stare a riposo per non scatenare il dolore, finisce per fermarsi e fermandosi perde progressivamente le proprie capacità funzionali . Ovviamente meno fa e peggio si sente anche emotivamente.
All’inizio del ricondizionamento, ossia la rieducazione della colonna vertebrale attraverso esercizi mirati al recupero della sua piena capacità funzionale, è possibile che il paziente possa percepire un peggioramento della sua sintomatologia, ed è essenziale che il rieducatore si accerti che il dolore sia legato alla “rimessa in moto” della schiena e non rappresenti invece l’effetto di una nuova lesione o un peggioramento di una già esistente.
Il ricondizionamento lavora su tutte le componenti organiche della colonna vertebrale, rinforzando i muscoli e recuperando l’articolarità e quindi l’ampiezza e potenza del movimento. Naturalmente al termine della terapia, è essenziale che il paziente continui a fare attività fisica.
L’ulteriore conferma si aggiunge alle evidenze degli studi scientifici degli ultimi anni, tanto che nelle “Linee Guida Italiane di fisiatri e medici di base”, per la gestione e il trattamento del mal di schiena, in fase acuta e cronica, una delle indicazioni fondamentali è di ridurre al minimo il riposo e mettersi il prima possibile in movimento.
Eppure, anche se riconosciuto da diversi anni (Jackson e Brown. 1983), questo principio dell’attività fisica come terapia di elezione delle vertebropatie, non ha mai veramente preso piede in Italia. Perché? Il motivo è presto detto.
Si considera la sintomatologia vertebrale derivante da un’unica patologia. Ad esempio, definiamo il dolore al basso schiena come “lombalgia”, ma con tale termine identifichiamo la zona del sintomo non la causa. Stabilire quali siano le reali cause del mal di schiena è impresa assai difficile anche per un medico particolarmente abile che si avvale di tecniche diagnostiche sofisticate. Solitamente alla base del problema non esistono lesioni importanti ma semplici alterazioni funzionali della complessa struttura che compone la colonna vertebrale. Per questo motivo, circa 9 casi di dolore lombare su 10 si risolvono positivamente nel giro di un mese. Osservando i vari pazienti, le loro abitudini di vita e lavorative, si può notare come il mal di schiena sia più frequente in particolari categorie di soggetti. Grazie a tale osservazione e all’ausilio delle conoscenze anatomiche e fisiologiche si possono stabilire una serie di elementi che predispongono l’individuo al mal di schiena.
La maggior parte dei fattori di rischio è legata alle abitudini di vita del soggetto, mentre predisposizioni genetiche sono piuttosto rare. Potremmo allora definire il mal di schiena come una patologia acquisita che insorge quando l’entità del trauma supera la capacità di sopportazione delle strutture che compongono la colonna vertebrale. Per questo motivo le strategie di prevenzione e cura del mal di schiena devono basarsi: da un lato sulla riduzione delle sollecitazioni alla colonna vertebrale e dall’altro sul riequilibrio delle strutture che la sostengono. Quando tutto è in equilibrio bisogna rafforzare in modo simmetrico per mantenere questa situazione, ma se per qualsiasi motivo l’equilibrio è precario il rafforzare in modo simmetrico non fa altro che mantenere lo squilibrio se non a volte peggiorarlo. Riequilibrare vuol di dire fare un lavoro differenziato. Per meglio spiegare questo concetto prenderemo come esempio la Torre di Pisa. Tale struttura ha un equilibrio precario e se qualcuno volesse migliorarlo per raddrizzarla dovrebbe agire su tre versanti: 1) tirare dalla parte opposta del lato che pende; 2) spingere da dove pende; 3) coordinare le due operazioni. Il punto due, trattandosi di un’operazione contro gravità, possiamo eseguirla anche riducendo la forza di trazione che la fa pendere. Questi in modo sintetico sono i concetti basilari della rieducazione del corpo umano: allungare dove è accorciato; potenziare dove è troppo allungato; migliorare la coordinazione tra sistemi muscolari antagonisti.
Ma quando la colonna vertebrale ha perso l’equilibrio e l’equilibrio non si perde sempre in una direzione, ha senso dire: “ vai in palestra e rinforza i muscoli della schiena”? Se consideriamo l’esercizio alla stregua di una “terapia farmacologica” sarebbe come dire: vai in farmacia e ingurgita il contenuto della prima scatola che trovi a portata di mano.
Il tipo di esercizio preventivo-terapeutico va prescritto con specificità utilizzando il tipo e le dosi ben definite in base alla persona e alla disfunzione della colonna vertebrale. Non esiste la lombalgia ma le lombalgie, cioè diversi tipi di disfunzione della colonna vertebrale che comportano dolore nell’area del rachide lombare. Per ogni tipo di disfunzione è indicato uno specifico tipo di programma di attività fisica: allungare le catene miofasciali corte; potenziare le catene deboli e lunghe; incrementare la coordinazione tra catene antagoniste.
Ma…in una sintomatologia algica vertebrale, come possiamo capire quali sono i sistemi di concatenazione coinvolti? Per rispondere a questa domanda dobbiamo prima di tutto conoscere quale tipo di movimento causa la sintomatologia.
Sulla suddivisione delle patologie in base al movimento sintomatico due autori (Sahrmann 2002; O’Sullivan 2000), pur partendo da presupposti diversi, arrivano ad inquadrare, più o meno nello stesso modo, le patologie rachidee e soprattutto quelle lombari. O’Sullivan (2000), riprendendo un concetto precedentemente esposto da Dupuis et al. (1985) in cui ritiene che la localizzazione della lesione dominante nel movimento determina i pattern d’instabilità manifesta, suddivide i modelli di movimento patologico in 4 strutture (patterns): flessione; estensione; scivolamento laterale; multi direzionale.
Il movimento del corpo raramente avviene su un solo piano, quindi è facile trovare associati piani diversi, ad esempio flessione e rotazione-inclinazione. Per ognuno di questi pattern si riscontra un’alterazione della postura statica, della postura dinamica e dell’attivazione muscolare. Sarà proprio l’alterata coordinazione miofasciale a instaurare l’instabilità fonte del movimento disfunzionale. Nelle immagini riportate in figura 1 sono schematizzati graficamente la suddivisione dei pattern nelle aree spaziali di movimento disfunzionale.
La Sahrmann (2002) suddivide in base al movimento scatenante le patologie dolorose del rachide in: sindrome estensoria, rotatoria- estensoria, rotatoria, sindrome flessoria, flessoria-rotatoria. Per gli Autori che hanno sviluppato questa classificazione (Norton et al. 2004) la maggioranza del loro campione di soggetti lombalgici (78% di 128 soggetti testati) erano configurabili in 3 gruppi; 48% rotazione-estensione; 14% rotazione flessione; 16% estensione.
Classificazione, in ordine di frequenza, delle sindrome rachidee proposta dalla Sahrmann (2002) in base al movimento sintomatico
1) rotatorie- estensorie;
2) estensorie;
3) rotatorie;
4) flessorie-rotatorie;
5) flessorie
Sorprende come in questo studio la flessione sia chiamata in causa poche volte, mentre in una ricerca che abbiamo effettuato con soggetti lombalgici, di 37 pazienti presi in esame, il 51.3% dei paziente presentavano dolore elevato all’estensione, il 21.6% dolore medio all’estensione; il 35.1% dolore elevato alla flessione; il 40.1% dolore medio alla flessione. Sommando il dolore elevato e medio, la flessione è chiamata in causa (75.2%) oltre il livello dell’estensione (72.9%). Nel nostro studio non sono stati valutati movimenti di rotazione.
Concorda per una maggiore incidenza di sindrome flessorie anche O’Sullivan (2000) abducendo come causa primaria un’instabilità del segmento vertebrale.
Se la sintomatologia algica in un mal di schiena si manifesta soprattutto durante un movimento di flessione è logico ricercare la causa disfunzionale all’interno del sistema miofasciale che gestisce tale movimento, cioè la catena statica dinamica posteriore (fig. 2) e/o la catena di flessione (fig. 3). In questo tipo di paziente la posizione seduta accentua il dolore e la posizione eretta lo riduce.
Nel caso in cui la fase algica fosse principalmente durante la posizione eretta e l’estensione accentuasse il dolore, la ricerca della disfunzione deve focalizzarsi nel sistema statico dinamico anteriore (fig. 4) e/o di flessione (fig. 5).
Le catene spirali gestiscono principalmente le rotazione (fig. 6 e 7), mentre le catene laterali le inclinazioni (fig. 8 e 9)
Dopo questa concisa prefazione scaturisce la nostra disapprovazione di tutti quei programmi che si possono trovare in rete o in alcuni testi dove viene data la ricetta in 10 o 15 esercizi per prevenire o curare il mal di schiena. Se non viene fatta prima una diagnosi disfunzionale l’attività fisica sortirà sempre dei risultati discordi sulle sintomatologie della colonna vertebrale, rilegando l’esercizio terapeutico nel limbo delle terapie consigliate ma non praticate.
Articolo estratto dal testo “Le catene miofasciali in Medicina Manuale”
Autore Saverio Colonna, Edizioni Martina – Bologna
BIBLIOGRAFIA
Dupuis P, Yong-Ring K, Cassidy D, Kirkaldy-Willis W Radiological diagnosis of degenerative spinal instability. Spine 10(3): 262-276, 1985
Hagen KB, Hilde G, Jamtvedt G, Winnem M: WITHDRAWN: Bed rest for acute low-back pain and sciatica. Cochrane Database Syst Rev. 2010 Jun 16;(6):CD001254. doi:10.1002/14651858.CD001254
Hill JJ, Keating JL: Daily Exercises and Education for Preventing Low Back Pain in Children: A Cluster Randomized Controlled Trial. Phys Ther. 2014 Dec 11. [Epub ahead of print]
Jackson CP, Brown MD : Is there a role for exercise in the treatment of patients with low back pain? Clin Orthop Relat Res. 1983 Oct;(179):39-45
Murphy S, Blake C, Power CK, Fullen BM: Outcomes of a group education/exercise intervention in a population of patients with non-specific low back pain: a 3-year review. Ir J Med Sci. 2014 Sep;183(3):341-50. doi: 10.1007/s11845-013-1013-z.;
Notarnicola A, Fischetti F, Maccagnano G, Comes R, Tafuri S, Moretti B : Daily pilates exercise or inactivity for patients with low back pain: a clinical prospective observational study. Eur J Phys Rehabil Med. 2014 Feb;50(1):59-66. Epub 2013 Oct 9
O’Sullivan PB: Lumbar segmental “instability”: Clinical presentation and specific stabilizing exercise management. Manual Therapy. 5 (1): 2-12, 2000
Sahrmann SA: Diagnosis and treatment of movement impairment syndromes. Mosby, St. Louis, 2002
Verbunt JA, Sieben J, Vlaeyen JW, Portegijs P, André Knottnerus J.:A new episode of low back pain: who relies on bed rest? Eur J Pain. 2008 May;12(4):508-16