Terapia Manuale ed Esercizio Terapeutico nel trattamento del Neck Pain
Definizione
Il dolore al collo o cervicalgia (neck pain) è una comune e spesso disabilitante condizione muscolo scheletrica, generalmente localizzata posteriormente dalla linea nucale superiore al processo spinoso della quinta vertebra toracica, al quarto posto tra le cause di disabilità, preceduta solo da low back pain, depressione e artralgie (US Burden of Disease Collaborators. 2013).
Incidenza e Prevalenza
Alcuni rapporti sulla prevalenza annuale del neck pain stimano un’incidenza media del 37,2% nella popolazione generale (Fejer et al., 2006), con un numero rilevante di persone che sta vivendo l’inizio del neck pain e andrà alla ricerca di assistenza sanitaria l’anno successivo (Vasseljen et al., 2013).
La prevalenza del neck pain è maggiore nel sesso femminile rispetto al sesso maschile ed emerge soprattutto nella mezza età.
Predisposizioni e fattori di rischio
I fattori associati allo sviluppo e alla persistenza del dolore al collo si sovrappongono considerevolmente a quelli di altre condizioni muscolo-scheletriche. Le variabili che si sovrappongono ad altre condizioni reumatologiche includono la genetica, la presenza di depressione, ansia, scarsa capacità di adattamento, somatizzazione, disturbi del sonno, fumo e stile di vita sedentario (Cohen 2015).
I soggetti obesi sembrano essere maggiormente predisposti al neck pain per via di fattori quali: infiammazione sistemica elevata, cambiamenti strutturali nocivi, aumento dello stress meccanico e della forza di reazione al suolo, diminuzione della forza muscolare, maggiori problematiche psicosociali e presenza di disabilità correlata alla chinesiofobia rispetto alle persone normopeso (Hoggs-Johnson et al., 2008; Fernández-de-las-Peñas et al. 2011; Strine et Hootman 2007) .
Tra i fattori di rischio associati al neck pain troviamo i traumatismi (ad esempio traumi cerebrali e lesioni da colpo di frusta) e gli infortuni sportivi (tipici nelle arti marziali, lotta, hockey su ghiaccio, calcio).
Sebbene alcuni studi abbiano individuato delle professioni con una significativa incidenza di neck pain (ad esempio impiegati d’ufficio e informatici, lavoratori manuali e operatori sanitari), i principali fattori legati all’ambiente lavorativo associati al dolore cervicale sembrano essere la scarsa soddisfazione lavorativa e il disagio percepito in ambiente lavorativo (Cote et al., 2009).
Classificazione
Esistono molti modi per classificare il dolore al collo, come la durata (acuta, < 6 settimane; subacuta, < 3 mesi; cronica, > 3 mesi), la gravità, l’eziologia e il tipo (meccanica o neuropatica) (Cohen, 2015).
Spesso la causa eziopatogenetica è incerta o non nota e si parla di neck pain aspecifico (Childs et al., 2008).
Prima di addentrarci nella gestione fisioterapica del neck pain è bene fare una puntualizzazione sul decorso naturale della condizione clinica. Similmente al low back pain, la maggior parte dei casi di dolore cervicale acuto regredisce spontaneamente entro i 2 mesi, tuttavia quasi la metà dei soggetti interessati andrà soggetto a persistenza di dolenzia o episodi di recidiva a distanza di un anno (Vasseljen et al., 2013).
Trattamento
Due delle strategie di trattamento prevalentemente utilizzate per la gestione del dolore al collo in ambito fisioterapico sono l’esercizio terapeutico e la terapia manuale (Bogduk and McGuirk, 2006).
L’esercizio terapeutico (ET) può essere definito come un regime di attività fisica finalizzato a indurre un determinato effetto terapeutico, che include esercizi di forza, di stabilizzazione e di resistenza, tra i vari (Chodzko- Zajko et al., 2009).
Per terapia manuale (MT) si intende, invece, “l’utilizzo delle mani per applicare forze con un fine terapeutico” (Smith, 2007). Tra gli approcci più diffusi vi sono le manipolazioni spinali, le mobilizzazioni articolari e il massaggio.
Sia gli esercizi terapeutici che la terapia manuale hanno dimostrato di alleviare i sintomi in varie condizioni muscolo-scheletriche (Lorås et al., 2015; Gross et al., 2015). A supporto della loro efficacia nel ridurre il neck pain sono state proposte varie spiegazioni. Gli effetti dell’ esercizio terapeutico sono tipicamente attribuiti a meccanismi di modulazione del dolore (per esempio ipoalgesia indotta dall’esercizio, riduzione della sommazione temporale degli stimoli nocicettivi e/o alterazione della percezione del dolore) (Naugle et al., 2012; O’Connor et al., 2015; Vaegter et al., 2015). Gli effetti della terapia manuale, invece, sono spesso spiegati in termini di cambiamenti favorevoli nei tessuti trattati, cambiamenti nella modulazione centrale del dolore ed effetti legati al meccanismo del “gate-control” (Ernst, 2000; Lascurain-Aguirrebena et al., 2016; Maigne e Vautravers, 2003; Vigotsky e Bruhns, 2015).
Esercizio Terapeutico
Tra gli esercizi terapeutici comunemente proposti per il trattamento del neck pain figurano:
- stretching dei muscoli cervico-scapolo-toracici (ad es. stretching dei muscoli paravertebrali cervicali, fasci superiori dei trapezi, elevatori della scapola, scaleni, SCOM)
- mobilizzazioni attive per incrementare il rom (ad es. movimenti di flessione, estensione, lateroflessione, rotazione, circonduzioni, retropulsioni del mento)
- esercizi di forza per i muscoli cervico-scapolo-toracici (ad es. rinforzo isometrico contro resistenza manuale e concentrico contro resistenza elastica, dei vari movimenti del capo, rinforzo dei muscoli scapolo-toracici tramite elevazioni o abduzioni delle spalle e shrugs con sovraccarichi)
- esercizi di resistenza per i muscoli cervico-scapolo-toracici
- riprogrammazione neuromuscolare (ad es. ricerca di un pattern di attivazione corretto tra muscoli flessori profondi del capo, spesso deficitari, e muscoli flessori superficiali, spesso iper-programmati, durante il movimento di flessione del capo da supino)
- esercizi respiratori (ad es. respirazioni diaframmatiche da supino e da seduto, evitando l’attivazione dei muscoli inspiratori accessori).
- esercizi di “correzione posturale” (ad es. estensione dorsale con extrarotazione delle spalle a gomiti estesi in supinazione e retroposizione del capo da seduto)
Gruppi muscolari
Nei pazienti con neck pain, i muscoli flessori cervicali profondi cervicali (MFCP) situati nella loggia anteriore del collo, in profondità, e i muscoli estensori cervicali profondi (MECP) appaiono, in particolare, proni ad alterazioni funzionali (Sterling et al. 2003). Questi muscoli hanno un’alta densità di fibre tipo 1 e di fusi neuromuscolari e sono vulnerabili all’inibizione indotta dal dolore, diventando potenzialmente la principale fonte dei sintomi (Boyd-Clark et al., 2002). Il deficit nelle performance dei muscoli cervicali può verificarsi rapidamente dopo l’insorgenza del dolore al collo e può persistere nonostante la riduzione o risoluzione dei sintomi (Sterling et al., 2003).
La ricerca ha dimostrato che gli esercizi finalizzati a migliorare la coordinazione, la resistenza o la forza possono risolvere i sintomi di dolore al collo (Sarig- Bahat 2003).
A tal proposito, un “classico” esercizio proposto per migliorare la coordinazione muscolare a livello cervicale prevede un appiattimento della lordosi cervicale da supino (Raney et al. 2009) (fig. 1): in questo modo vengono reclutati i MFCP (Mayoux-Benhamou et al., 1994), riducendo al minimo l’intervento dello sternocleidomastoideo (l’appiattimento è apprezzabile anche con dispositivo di pressione).
Lo sforzo contrattile dovrebbe essere basso e il paziente dovrebbe concentrarsi sul controllo preciso del movimento. Esercizi a basso carico (circa 20% della massima contrazione volontaria) hanno dimostrato di facilitare l’attivazione selettiva dei MECP, riducendo al minimo l’attività dei muscoli sinergici superficiali (O’Leary et al., 2007).
Esercizio e postura
Un recente studio di alta evidenza scientifica suggerisce che l’esercizio terapeutico può modificare efficacemente l’angolo cranio-vertebrale, ovvero migliorare la “postura” del capo (Sheikhhoseini et al. 2018). Non a caso, i pazienti che presentano dolore al collo adottano sovente una postura del capo in anteposizione e mantengono con difficoltà un allineamento delle curve rachidee da seduti (Szeto et al., 2002).
Secondo alcuni autori, l’adozione di una postura più ergonomica in posizione seduta, ridurrebbe significativamente l’attivazione muscolare del collo rispetto a una postura con testa anteposta, spesso adottata dai soggetti con neck pain (McLean 2005) (fig. 2).
Quindi la riabilitazione iniziale dovrebbe essere volta al miglioramento della performance muscolare e soprattutto alla coordinazione dei muscoli cervicali profondi, come sostiene anche una serie di linee guida cliniche pubblicata dall’American Physical Therapy Association per il trattamento delle cervicalgie, le quali sollecitano la partecipazione all’esercizio attivo (Childs et al. 2008).
Secondo una revisione sistematica di Gross e colleghi (Gross et al., 2015), l’uso di specifici esercizi di rinforzo come parte del trattamento di routine per il neck pain cronico può essere utile per ridurre il dolore e migliorare la funzionalità cervicale (evidenza di grado moderato).
L’utilizzo combinato di esercizi di rinforzo, resistenza e stretching sembra indurre effetti comparabili. Tuttavia i benefici sembrano essere scarsi utilizzando esclusivamente esercizi di stretching o di endurance.
Tra i vari approcci analizzati in letteratura, anche il Pilates sembrerebbe migliorare il dolore e la funzionalità nei pazienti con neck pain cronico (Cemin et al., 2017).
Per indurre risultati ottimali attraverso l’esercizio terapeutico è consigliato ricercare un grado elevato di precisione nell’esecuzione degli esercizi: questo è il fondamento base dell’esercizio terapeutico, che si differenzia dall’esercizio generale, dal fitness e dal classico allenamento in palestra (che apportano comunque benefici innegabili).
Dolore si, dolore no
Per quanto riguarda l’eventuale evocazione di dolore durante l’esecuzione degli esercizi, secondo alcuni autori bisognerebbe evitare di superare la soglia del dolore per non compromettere la capacità di controllo neuromuscolare (Falla 2007). Contrariamente, secondo altri studi ( Smith et al. 2017), i protocolli di esercizi che evocano dolore offrirebbero un piccolo ma significativo beneficio a breve termine rispetto agli esercizi in assenza di dolore. Ciò dimostra che il dolore non dovrebbe essere necessariamente evitato tout court nei soggetti adulti sofferenti di neck pain.
Va da sé che l’esercizio fisico possa essere facilmente delegato dal medico o dal fisioterapista al paziente, dopo un buon addestramento supervisionato. A tal proposito, una revisione sistematica (Zroneck et al., 2016) sottolinea come un un programma di esercizi a domicilio di rinforzo e/o resistenza muscolare sia efficace nel ridurre il dolore cervicale, migliorare la funzionalità, disabilità e qualità della vita.
Terapia manuale
Nella scelta di un approccio terapeutico con terapia manuale, invece, le dinamiche cambiano notevolmente.
Tra le tecniche di Terapia Manuale comunemente proposte per il trattamento del neck pain figurano:
- mobilizzazioni globali del rachide cervicale (in flessione, lateroflessione, rotazione, retropulsione)
- manipolazioni cervicali segmentarie hvla (in traslazione, rotazione, postero- anteriore con attivatore chiropratico)
- manipolazioni toraciche segmentarie hvla (in postero-anteriore con o senza attivatore chiropratico)
- mobilizzazioni segmentarie (in postero-anteriore, rotazione, lateroflessione ecc.)
- pompage dei muscoli cervico-scapolo-toracici
- release miofasciali (compressioni ischemiche, positional release, Strain Counterstrain ecc.)
- stretching passivo-attivo dei muscoli cervico-scapolo-toracici (con tecnica PNF / MET / PIR)
Tra gli approcci manuali proposti, quelli più indagati in letteratura scientifica sono certamente le manipolazioni spinali HVLA (“thrust”) e le mobilizzazioni spinali (“non-thrust”).
Dunning e colleghi hanno riportato una maggiore efficacia combinando manipolazioni del tratto cervicale superiore e toracico superiore rispetto alla mobilizzazione degli stessi segmenti, nel ridurre il dolore e la disabilità, migliorare il ROM passivo in rotazione di C1- C2 e la performance motoria dei muscoli flessori cervicali profondi (MFCP) a 48 ore post trattamento (Dunning et al., 2012). Uno studio più recente di Griswold e colleghi (Griswold et al., 2018) ha invece riportato risultati simili in termini di riduzione del dolore e della disabilità e di aumento della performance motoria tra soggetti trattati mediante tecniche di tipo thrust e soggetti sottoposti a tecniche non-thrust, applicate pragmaticamente sui livelli vertebrali più sintomatici.
Manipolazione HVL
Secondo una recentissima revisione sistematica di Hidalgo e colleghi (Hidalgo et al., 2017) le manipolazioni HVLA (fig. 3) effettuate a livello cervicale o toracico, le mobilizzazioni segmentarie sui parametri di movimento accessorio, le tecniche a energia muscolare (MET) effettuate a livello articolare, i release miofasciali e le tecniche MET usate a livello muscolare sul distretto cervicale e toracico e le mobilizzazioni con movimento (MWM di Mulligan) indurrebbero effetti comparabili sul neck pain, sia in fase acuta che in fase cronica. Tuttavia i risultati migliori si avrebbero combinando diverse forme di terapia manuale con l’esercizio terapeutico rispetto alla sola terapia manuale o al solo esercizio (con evidenza da moderata a forte).
Interessante è la conclusione degli Autori che le mobilizzazioni non devono necessariamente essere somministrate ai livelli sintomatici per migliorare il dolore e la funzionalità nei soggetti con neck pain cronico. Ciò, secondo gli Autori, potrebbe aiutare a ridurre i rischi associati all’utilizzo di determinate tecniche di terapia manuale sul rachide cervicale e a scegliere i livelli da trattare in funzione dello stato di irritazione del paziente.
Effetti iatrogeni HVLA (adverse effect)
Nonostante l’efficacia terapeutica dimostrata, sono infatti ben noti e documentati anche potenziali effetti avversi legati all’utilizzo delle manipolazioni vertebrali a livello cervicale quali, in particolare, dalla sindrome vertebra basilare fino alla dissezione dell’arteria vertebrale (Ernest 2007). Di conseguenza, gli strumenti di screening pre-manipolativo sono concentrati principalmente sull’identificazione dei pazienti che possono presentare insufficienza vertebro-basilare, disfunzionalità arteriosa cervicale o instabilità cervicali. Tuttavia, i test proposti ad oggi, sembrano essere inattendibili rispetto all’identificazione dei pazienti a rischio di eventi avversi (Kranenburg et al., 2017). Alcuni autori ritengono sia proprio a causa di tale carenza di test di screening pre-manipolativo attendibili che i terapisti preferiscono utilizzare le HVLA nella colonna vertebrale toracica più frequentemente che nella colonna cervicale nei pazienti con dolore al collo (Puentedura 2012).
Approccio multimodale
Considerando l’eterogeneità delle caratteristiche dei pazienti con neck pain, la mancanza di una chiara comprensione dei meccanismi di modulazione del dolore indotti dall’esercizio terapeutico e dalla terapia manuale e della loro efficacia nell’alleviare i sintomi, sembrerebbe logico adottare un approccio multimodale che integri entrambi gli approcci terapeutici. A tal proposito, una revisione sistematica condotta da Gross e colleghi (Gross et al, 2015) sostiene l’utilizzo combinato di esercizio terapeutico e terapia manuale, così come la revisione sistematica di Hidalgo e colleghi precedentemente citata (Hidalgo et al, 2018). Tuttavia, altri autori non hanno riportato una tale associazione positiva nel combinare TM e ET rispetto al solo ET per migliorare dolore, funzionalità e qualità della vita (Fredin et Lorås, 2017).
Alla luce della nostra esperienza clinica, riteniamo utile adottare un approccio basato inizialmente sulla terapia manuale e integrato successivamente con l’esercizio terapeutico per la gestione dei pazienti con neck pain. Sosteniamo l’importanza di coinvolgere nella valutazione ed eventuale trattamento il rachide dorsale, la gabbia toracica nel suo insieme e il diaframma, in virtù delle connessioni di natura meccanica e neurologica, nonchè delle implicazioni di tipo psico-sociale ed emotive che spesso riverberano sui pattern respiratori adottati, con ricadute negative in termini di assetto posturale, rigidità e limitazione funzionale. A tal proposito rimandiamo i lettori ad altri articoli precedentemente pubblicati nella nostra rubrica “Materiale didattico” riguardo alla presunta correlazione tra diaframma toracico e rachide cervicale e agli ipotetici modelli disfunzionali implicati nell’insorgenza delle cervicalgie.