Inversione di gravità: valutazione con RMN degli effetti acuti sul rachide lombosacrale
Introduzione
La storia naturale della malattia discogenica lombare è ben nota. Di solito è una condizione auto-limitante benigna. La sciatica per il coinvolgimento del disco si risolve senza intervento chirurgico in 1-12 mesi nella maggior parte dei pazienti (Legrand et al. 2007).
Dopo un certo periodo di tempo, il frammento di disco sporgente diminuisce in dimensioni, in quanto la normale via di “nutrizione” è impedita e l’idratazione è ridotta. Il rapporto tra il disco che protrude e il nervo adiacente è di per se abbastanza conflittuale, ma le modifiche infiammatorie della radice causano ulteriore riduzione dello spazio per il nervo.
Con la restrizione del movimento e dell’attività accoppiata e la riduzione della dimensione del disco, anche l’infiammazione e relativi sintomi si riducono. Se ciò non accade, sono disponibili vari interventi.
La chirurgia per le lombo sciatalgie da ernia discale è ben definita (Gibson e Waddell 20079, ma costa più di cento milioni di sterline all’anno solo nel Regno Unito. La chirurgia ha dimostrato di ridurre il tempo al recupero di circa il 50%, ma è associato ad un tasso di complicazione del 1-3% (Legrand et al. 2007). La più grande sfida nella gestione di questi pazienti è quindi quella di evitare l’intervento chirurgico.
La trazione del rachide lombare è un trattamento ben noto per la malattia discogena usata comunemente in Nord America (Li et al. 2001) e in misura minore in alcune parti dell’Europa (Harte et al. 20059.
La terapia con inversione della forza di gravità è stata usata a beneficio della salute dai tempi antichi. Le prime tracce dell’inversione sono state ritrovate dagli archeologi in alcuni graffiti del 3000 aC che riportano alcune asane yoga a testa in giù. Tali posture invertite del corpo erano utilizzate per riequilibrare il corpo, aumentare le circolazioni del sangue, stimolare il cervello e rivitalizzare gli organi addominali. Nel 400 aC il Padre della Medicina, Ippocrate solleva un paziente sulla scala con corde e puleggia per sfruttare la forza gravitazionale nel tentativo di allungare i pazienti e alleviare i loro disturbi (fig. 1)
La trazione può funzionare per separazione dei corpi vertebrali, distrazione e scorrimento delle faccette articolari, dilatazione del forame intervertebrale, raddrizzamento delle curve spinali e allungamento della muscolatura spinale (Kisner et al. 1996). Distraendo i corpi vertebrali, la pressione negativa potrebbe probabilmente ritirare il frammento sporgente di nucleo nello spazio da dove proviene.
La futilità della trazione (continua o intermittente) come singolo trattamento per il dolore di schiena (Clarke et al. 2007) e/o radicolopatia [Luijsterburg et al. 2007] viene evidenziata in alcune revisioni sistematiche.
La trazione è più probabile che possa funzionare se c’è un coinvolgimento radicolare che si manifesta come sciatica (Krause et al. 2000).
I risultati di uno studio (Prasad et al. 2012) sostengono che in un campione di 24 pazienti l’intervento chirurgico è stato evitato nel 77% nel gruppo di fisioterapia più inversione (13 pazienti) mentre è stato evitato in solo il 22% nel gruppo (11 pazienti) solo fisioterapia. Evitare l’intervento chirurgico non ha pregiudicato altre misure di esito e viceversa. Studi precedenti sulla trazione non hanno preso in considerazione come misura di esito (outcome) evitare la chirurgia cosa che questo studio ha affrontato.La trazione può essere continua o intermittente e può essere manuale, meccanica o motorizzata. Forze di trazione di meno del 20% del peso corporeo sono state descritte come placebo (Beurskens et al 1995), mentre altri sostengono che anche questo può essere utile (Krause et al. 2000; Harte et al. 2003). Il tipo di trazione e la dose di trazione potrebbero aumentare l’efficacia della sciatica.
L’importanza della pressione intradiscale, in particolare in relazione alla postura, è ben nota, infatti Nachemson et al. (1970) ha dimostrato che un carico di trazione del 60% del peso corporeo è sufficiente a ridurre la pressione residua del 25% causata dalla verticalità.
Nella panca ad inversione viene utilizzato un tavolo di inclinazione dove il peso di tutta la metà superiore del corpo del paziente, determinato dalla gravità, agisce come trazione. Le forze di trazione qui sono probabilmente più coerenti e adattate ad ogni paziente rispetto alla trazione motorizzata o manuale convenzionale.
Questo tipo di terapia non è scevra da complicanze. In un ormai datato studio (Gianakopoulos et al. 1995) venti pazienti con dolore cronico del rachide lombare basso hanno partecipato ad uno studio clinico per valutare gli effetti della trazione gravitazionale. Ogni soggetto è stato istruito nell’uso di tre dispositivi, due per inversione e uno per la trazione sospesa verticale. La pressione sanguigna e la frequenza di base sono stati registrati prima e dopo la trazione che non superavano i 20 minuti. Le radiografie laterali laterali lombari sono state prese con il soggetto in posizione stabile e dopo diversi periodi di inversione. I risultati hanno evidenziato quanto segue: un aumento medio della pressione arteriosa di 17,2 la sistolica ( 4-34) e 16,4 la diastolica; (range 2-50) mentre nella posizione invertita. Una diminuzione media della frequenza cardiaca di 16,4 battiti al minuto (range 4-32). Non sono stati osservati significativi cambiamenti fisiologici della pressione o dell’impulso di sangue nei pazienti che utilizzavano la trazione in sospensione verticale. Sono stati osservati effetti collaterali tra cui petechia periorbitali e faringee (un paziente), mal di testa persistente (tre pazienti), visione offuscata persistente (tre pazienti) e disagio del contatto con lenti (un paziente). Era presente un miglioramento dei sintomi in 13 dei 16 pazienti sintomatici. Una delle conclusioni a cui arriva questo studio è che, anche se questi dispositivi rendono pratico la trazione lombare in un ambiente domestico, il loro utilizzo dovrebbe essere sotto controllo medico a causa di possibili effetti collaterali.
Per valutare cosa realmente succede a livello lombare durante una inversione è stata utilizzata la radiologia classica (Gianakopoulos et al. 1995) con la quale è stata evidenziata una distrazione degli spazi intervertebrali lombari inferiori in tutti i casi dei pazienti testati (con un range che variava da 0,3 a 4,0 mm) ma come è ben risaputo questa metodica di valutazione non da indicazioni a riguardo dei dischi. Per tale motivo abbiamo provato a valutare con la RMN cosa avviene quando il paziente viene posizionato in inversione di gravità.
Materiali e Metodi
Sono stati valutati due soggetti (età media 50,7 anni, altezza 182, peso 78 kg) lombalgici con saltuari episodi di sciatalgia. Per la valutazione della risonanza è stato utilizza
to il sistema G-Scan (Esaote, Italia) che permette delle scansioni in posizione di clino e ortostatismo. Per la valutazione dell’inversione è stato utilizzato un sistema di cinghie di fissazione delle caviglie.
Protocollo valutativo.
E’ stato fatta l’acquisizione solo del piano sagittale in posizione di clinostatismo, ortostatismo e inversione a 30, 60 e 90° (fig. 2). I tempi di acquisizione per ogni posizione sono stati di circa 4 min.
Dalle immagini acquisite sono state effettuate delle misurazioni lineari (fig. 3) e angolari (fig. 4). Negli istogrammi sono riportate le medie delle misurazioni effettuate. Non è stata effettuata nessuna valutazione statistica visto il basso campione analizzato.
Risultati
Nei due soggetti testati il confronto tra le valutazioni in clino, orto e inversione è stato utilizzato soltanto la prova a -60 gradi indicata in fig. 5 come -60. In figura 5 si può apprezzare il confronto visivo di come si comporta il sacro e il rachide lombare nelle tre posizioni testate.
Dal grafico 1 si evidenzia come le distanze lineari sia anteriori che posteriori degli ultimi due spazi lombari siano incrementate nella posizione in inversione (colonna verde) rispetto sia alla ortostatica (colonna gialla) che alla clinostatica (colonna rossa) ad eccezione della distanza anteriore di L4-L5 anteriore che risulta in inversione maggiore rispetto alla clino ma minore rispetto all’orto. La distanza del diametro del canale sia a livello del disco di L4-L5 che L5-S1 risulta diminuito in orto rispetto al clino, aumentato in inversione sia rispetto al clino che all’ortostatismo (fig. 6).
Nel confronto tra le tre posizioni in inversione testate risulta evidente un aumento dell’angolo anteriore tra L5-S1 passando da – 30° a -60°; mentre a -90° si ha un minore angolo sia rispetto a -60° che -30°.
Discussione
Per quel che riguarda le valutazioni lineari nella posizione in inversione si ha un aumento dello spazio tra L5-S1 e L4-L5 sia misurato anteriormente che posteriormente confermando i dati presenti in letteratura (Gianakopoulos et al. 1995) valutati con la radiologia. Nel nostro studio tutte le valutazioni lineari che rappresentano lo spazio discale tra L4-L5 e L5-S1 sono maggiori in inversione rispetto alla valutazioni sia in clino che in orto, eccetto per quella anteriore tra L4-L5 nella quale la valutazione in orto fa segnare il più alto valore. Quest’ultimo dato è di difficile interpretazione perché se giustifichiamo una riduzione delle distanze sia anteriori che posteriori tra clino e orto per effetto della gravità non riusciamo a trovare una giustificazione all’aumento di questo parametro in ortostatismo. Anche l’ipotesi di un aumento dell’estensione di L4 su L5 in ortostatismo non trova conferma nell’angolo anteriore tra L4 e L5 (grafico 2).
Per quanto riguarda la distanza dal bordo posteriore dell’anulus degli ultimi due dischi e il bordo anteriore del legamento giallo, che abbiamo definito diametro antero-posteriore del canale neurale, è evidente che aumentando la forza di gravità, passando da clino a ortostatismo, la dimensione si riduce; mentre in inversione aumenta (fig. 6). Questo risultato può avvallare l’utilizzo dell’inversione, soprattutto nelle problematiche di sciatalgia discale come proposto in letteratura (Krause et al. 2000; Prasad et al. 2012). Inoltre questo valutazione potrebbe essere utilizzata come indice predittivo dell’evoluzione della sciatalgia. Un’ernia che si riduce in inversione è indice di una plasticità che starebbe ad indicare una maggiore possibilità di regressione per riassorbimento della componente protrusa.
Confrontando le valutazione angolare si notano delle incongruenze di difficile interpretazione. Ad esempio a livello di L5-S1 passando da clino a orto si riduce l’angolo sia tra i piatti vertebrale che quello anteriore calcolato sul bordo anteriore del corpo vertebrale. Questo comportamento possiamo identificarlo con un riduzione dell’estensione del segmento, difatti in posizione supina i flessori d’anca possono indurre una maggiore antiversione del bacino che accentua la lordosi lombare. Incomprensibile è il comportamento in inversione, perché l’angolo tra i piatti aumenta mentre l’angolo anteriore diminuisce. L’unica giustificazione che possiamo addurre è che l’inversione creando una distrazione che avviene con un movimento traslatorio altera la logica dell’equilibrio che si basa su un movimento angolare con un fulcro. Per quanto riguarda, invece, il segmento L4-L5 la risposta è più lineare; passando dalla posizione in clino, orto a quella in inversione si apprezzano delle piccole modifiche con la tendenza ad aumentare entrambi gli angoli in inversione.
La tendenza dell’angolo sacrale è a ridursi dal chino all’orto ed inversione.
Nel confronto tra le tre posizioni in inversione, -30°, -60° e -90° si evidenzia un aumento dell’angolo anteriore tra L5-S1 passando da – 30° a -60°; mentre a -90° si ha un maggiore angolo sia rispetto a -60° che -30°. Questo comportamento ci fa pensare che la trazione indotta sulle strutture fasciali dalla componente superiore del corpo a -30° sia diversa da quella -90°; in clino e fino a 60° di inversione siano coinvolte le strutture fasciali anteriori, mentre in completa inversione le strutture fasciali posteriori.
Conclusioni
Da questo lavoro, ovviamente, non si possono trarre delle conclusioni definitive visto il limitatissimo numero di soggetti testati.
Quello che possiamo dedurre è che la valutazione con RMN del rachide lombosacrale è un ottimo metodo per identificare i cambiamenti apportati per i segmenti vertebrali e i dischi.
Durante l’inversione si realizza una decoaptazione degli ultimi due spazi lombari e una riduzione del diametro antero-posteriore del canale neurale a livello degli ultimi due dischi.
E’ possibile che i sistemi fasciali con cui rimane appeso il soggetto in inversioni siano diversi, passando da clinostatismo in cui recita un ruolo predominante i sistemi fasciali anteriori, fino ad arrivare a 90° di inversione in cui il ruolo predominante viene assunto dai sistemi posteriori.
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